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La ricerca della felicità, prima parte. Come si fa ad essere felici?

 Si sente sempre più spesso parlare di felicità e di cosa fare per ottenerla o mantenerla. Come psicologo della salute, non mi occupo solo di problemi ma anche di promozione del benessere di persone, famiglie e organizzazioni; quindi provo a dare un contributo su questo argomento. 


Come alcuni di voi sapranno, il tema della felicità è stato a lungo esplorato da filosofi e scrittori. Noi psicologi abbiamo iniziato ad interessarcene solo di recente, visto che tradizionalmente la psicologia si è occupata soprattutto di disagio, di malessere e quindi di stati d’animo più vicini all’infelicità. Definire cosa s’intende per felicità da un punto di vista psicologico, e comprendere come questa si realizzi, ha richiesto quindi studi specifici. 

Infatti la felicità non è l’opposto dell’infelicità. Possiamo non essere infelici, ma non per questo dirci felici. E viceversa possiamo non essere felici, ma non necessariamente sentirci infelici. 


Ma cos’è la felicità? E come la si ottiene?



Nel senso comune, nella nostra cultura, la felicità viene associata al piacere. Pensate alle pubblicità che vogliono far credere che il sapore di un cioccolatino o l’odore di un profumo possano rendere felici! E’ riduttivo, certo, ma qualcosa di vero c’è, in quanto le sensazioni piacevoli di solito sono accompagnate da forti componenti emotive, che possono regalare briciole di felicità. 

Tuttavia cercare la felicità nell’accumulo di piaceri non è una buona idea, dal momento che i piaceri sensoriali, per loro natura, sono effimeri, fugaci. In più il loro potenziale di felicità tende a diminuire nel tempo, a causa di un meccanismo di assuefazione ampiamente dimostrato.  Quel profumo o quel sapore che la prima volta ci ha mandato in estasi, alla cinquantesima non ha più lo stesso effetto. Lo stesso meccanismo vale anche per piaceri non legati alle sensazioni fisiche, come quelli derivanti dal possesso di beni materiali o di danaro, oppure quelli relativi all'immagine di sé, come ad esempio un successo professionale. 

Anche in questo caso vale il meccanismo della cosiddetta “macina edonistica”, verificato da numerose ricerche, per il quale l’acquisizione di beni materiali o di successi, aumenta sì il livello di felicità, ma solo temporaneamente: presto si tornerà al livello precedente, cioè al proprio livello di felicità costituzionale.

Può essere sorprendente, ma alcune ricerche dimostrano che ognuno di noi ha un livello standard di felicità, ereditario, in quanto iscritto nei cromosomi. Ciò non significa che se siamo geneticamente poco felici non possiamo accrescere il nostro livello standard dato che, sempre in base a queste ricerche, il fattore ereditario incide sulla nostra felicità per circa il 50%. Abbiamo quindi la possibilità di intervenire sull'altro 50% per alleggerire i vincoli ereditari. Del resto studi ormai numerosi provano che la felicità, pur se in parte ereditaria, non è un dono piovuto dal cielo, ma uno stato dell’umore che è possibile auto-produrre.

In questo senso essere felici può essere considerata una sorta di competenza che, in quanto tale, può sempre essere sviluppata, a patto di saperne creare le condizioni.
Ma cosa vuol dire creare le condizioni? E quali sono le condizioni perché si generi in noi uno stato di felicità?

Presto cercheremo di dare delle risposte, un saluto a tutti.

(L'articolo fa parte della serie di articoli chiamata "La ricerca della felicità" scritto con la Prof.ssa Teresa Giannelli per l'Associazione di promozione sociale Clelia, di Roma)

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