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Il supporto psicologico ai pazienti oncologici

 Secondo le statistiche e le stime dell’Associazione Italiana Registri Tumori, la AIRTUM, nel nostro Paese vi sono all’anno circa 363.000 nuove diagnosi di tumore, di cui circa 194.400 (54%) fra gli uomini e circa 168.900 (46%) fra le donne. Sono esclusi da queste cifre i tumori della pelle, che hanno una diversa classificazione e identificazione. La previsione è che nel corso della vita circa una donna su 3 e un uomo su 2 si ammaleranno di tumore. La frequenza sui casi di tumore ha questa triste graduatoria: tumore della mammella (14%), tumore del colon retto (13%), della prostata (11% solo maschile) e del polmone (11%). La notizia confortante è che la mortalità è in diminuzione, sia negli uomini che nelle donne. Dietro a questi numeri ci sono uomini, donne, e poi famiglie e amici del malato che vengono coinvolti in questa malattia, e ci si sente spesso impreparati e spaventati.  




E’ più frequente che i pazienti oncologici accettino subito l’aiuto psicologico, o c’è invece una sorta di pudore nel parlare del cosiddetto “brutto male”, da un punto di vista psicologico?

Partiamo da un punto che è importante rimarcare, non tutti hanno il bisogno di parlare con uno psicologo; c’è chi, fortunatamente, per esperienza, per storia di vita e risorse personali riesce ad affrontare efficacemente la malattia senza subire un grosso scossone. Ma, come dimostrano diversi studi, questa situazione crea uno stress che va ad incidere su molti aspetti, da quello privato a quello familiare, e non è così facile adattarsi ai cambiamenti imposti. In quel momento sarebbe utile richiedere un aiuto a un professionista. quindi, chi ha la necessità di rivolgersi dallo psicologo, ha bisogno di un sostegno per ritornare ad essere padrone della propria vita e questo può avvenire in diversi modi.

Quali sono le reazioni più comuni alla notizia della malattia, e quale è il modo migliore di reagire?
Non esiste il modo giusto per affrontare la malattia perché dipende dal momento di vita e dalle risorse proprie della persona. Inizialmente è difficile controllare le proprie emozioni proprio perché si è impreparati a questo cambiamento così difficile da digerire. Può aiutare riuscire ad attribuire un significato a quello che sta accadendo, cercando di individuare una valida rioganizzazione di sé stessi e del proprio ambiente, ma questo avviene in modo del tutto personale ed unico. Riuscire ad esprimere ciò che si sta vivendo, trovando una buona fonte di ascolto determina, nella maggior parte dei casi, un migliore approccio alla nuova condizione.

Nel lungo percorso della lotta a un tumore, è frequente e consigliabile dare false speranze quando il malato ha poche possibilità di sopravvivere? E cosa pensi dei familiari che nascondono la verità del al malattia al malato terminale?
Questa domanda è molto complessa e merita un pensiero in più; bisogna riflettere sul modo attraverso cui chi è vicino al malato si confronta con il fine vita. Non è corretto dare false speranze, ma è necessario capire quanto una persona sia consapevole ed in grado di accettare ciò che sta accadendo per poterla assistere meglio nel percorso. Alcuni familiari preferiscono omettere al paziente la verità sul percorso e in questi casi dovrebbero essere comprese le motivazioni che spingono a queste scelte, se sia per la voglia di proteggere il familiare stesso o per altre ragioni.

Secondo te c’è abbastanza assistenza psicologica oggi per i malati e i familiari? o siamo indietro su questo aspetto, privilegiando quello prettamente terapeutico?
Esistono delle belle realtà ospedaliere in Italia che riescono ad offrire un’assistenza psicologica ben affiancata a quella medica, ma non c’è un modello unico per assistere chi ha bisogno. Potrebbero essere fatti degli grossi passi in avanti perché troppo spesso si trascura l'aiuto che la psicologia può offrire in questo campo.

Infine: che consiglio daresti a chi riceve la diagnosi di un tumore?
Chi incontra questa situazione ha spesso la sensazione di sentirsi solo nell’affrontare una grossa impresa. In parte è vero, perché chi soffre è l’unico che può sapere cosa voglia dire, ma non è solo, e chiedere aiuto è il primo passo per trovare un sostegno.


(intervista di )
Fonte:
http://www.ilmascalzone.it/tag/alessandro-cicconi/

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